Atina: Palazzo Ducale “Cantelmo”

Il Palazzo Ducale “Cantelmo” ad Atina (Frosinone) in Ciociaria. La volsca Atina nel 589 d.C., con l’attacco longobardo capeggiato dal duca Zotone, città monumentale di impianto romano, subì rovina e distruzione. Il definitivo colpo fu dato dal terremoto del 1349, che rase al suolo definitivamente i resti romani e il primitivo borgo medievale. Atina fu ricostruita, sempre sul sito della città romana, ma più piccola nelle dimensioni, seguendo i nuovi criteri urbanistici importati dai Cantelmo. Sullo stesso luogo in cui i d’Aquino avevano edificato due secoli prima la rocca originale, i Cantelmo diedero inizio alla costruzione del magnifico Palazzo Ducale. Abitato in maniera saltuaria dai duchi fino al 1458, alla fine del XV secolo fu ceduto al conte Diomede Carafa di Maddaloni che lo adibì a residenza per i luogotenenti e i maestri di campo della casa ducale. Successivamente passò ai d’Aquino, ai Borgia, ai duchi di Montecalmo e nell’Ottocento ai signori Paniccia di Vicalvi, che nel 1870 lo vendettero al comune di Atina. La sua elegante sagoma si erge al centro del borgo antico, sulla piazza dedicata a Saturno.
L’edificio malgrado le asimmetrie, certamente dovute ad una fabbrica preesistente che ne condizionò la totale armonia, è dotato di una sua organicità e notevole monumentalità, accentuata dalla tessitura muraria, con l’uso di blocchetti ben squadrati ed evidenti, che danno un’impressione quasi di bugnato. La costruzione a pianta quadrangolare, è scandita da due torri laterali aggettanti, di cui una incompiuta, che ne ingentiliscono il suo aspetto potente e ascensionale.

La facciata è ben degna di un palazzo residenziale ducale, con un grande portone a sesto acuto. Al di sopra del portone vi è un bassorilievo dalla delicata fattura classica, certamente proveniente da un monumento del primo periodo romano imperiale, come a testimoniare la vetustà della città. Detto bassorilievo rappresenta, probabilmente, un’offerta votiva. Davanti al portone d’ingresso al palazzo, sulla destra, vi è un’imponente statua funeraria togata, in calcare locale, con testa non pertinente, databile al II sec. a.C., su una base onoraria che ricorda l’imperatore Settimio Severo. Il prospetto è ingentilito da tre bellissime bifore al piano nobile, degne della migliore tradizione gotica, e da rosoni strombati, non allineati con gli elementi sottostanti.

L’ambiente di rappresentanza, al piano nobile, è costituito da un salone di grandi dimensioni, abbellito da bifore, da rosoni e da feritoie che diffondono all’interno una luce soffusa. Nella parete corrispondente alla facciata del salone, fa bella mostra di sé un grande mosaico romano. È in tessere bianche e nere, databile intorno al II sec. d. C.. Raffigura, oltre a motivi geometrici, un guerriero sannita in quattro posizioni di assalto. Il meraviglioso mosaico ci porta a ricordare che Atina in tempi antichi ha avuto una cultura fortemente Sannita, come mostra la foggia del copricapo del costume del guerriero, e tale cultura si è conservata ed è stata tramandata anche all'epoca in cui Roma aveva conquistato tutto il mondo. Come scriveva Cicerone, viene a confermare che “La Prefettura di Atina è piena di uomini fortissimi così ché nessun'altra può essere ritenuta più ricca in tutta l'Italia“. Il mosaico è stato asportato da una domus scoperta e, solo parzialmente scavata nel 1946, lungo la via Vigilassi.

A sud del salone di rappresentanza, dietro la torre di sinistra del palazzo, una porticina con lunetta trilobata immette alla pregevole cappella privata intitolata a Sant’Onofrio. Si tratta di un piccolo ambiente absidato, molto sobrio, con caratteristiche romaniche, riconoscibili sia dalle monofore della parete di destra, che per gli affreschi dell’abside. Nella lunetta che sovrasta l’ingresso alla cappella, vi è raffigurata, seppur molto rovinata, l’immagine della Madonna a mezzo busto col Bambino semidisteso tra le braccia, accanto a loro San Giovanni Battista la cui immagine risulta conforme all’iconografia diffusa: volto emaciato, barba lunga e incolta e capelli arruffati, tunica di pelo di capra, aperta sul petto e pallio rosso. Molto interessanti sono pure gli affreschi che decorano la concavità absidale che sfortunatamente sono stati mutilati dall’apertura di una porta, durante gli anni del fascismo, essi rappresentano Cristo in gloria e i santi Onofrio, Giovanni Evangelista e Michele Arcangelo. Nel catino appare la tradizionale immagine di Cristo pantocratore, che benedice alla greca e tiene un libro aperto nella mano sinistra; secondo uno schema consueto, il Signore siede all’interno di una mandorla scarlatta sorretto da quattro angeli inginocchiati. Elegante è l’abbigliamento: tunica purpurea con galloni fiorati e pallio bianco decorato a stampi geometrici e vegetali, con stoffe leggere e ampiamente lumeggiate. La datazione dell’affresco chiaramente posteriore al 1349 e pienamente trecentesco, deve comunque avanzare verso la fine del XIV secolo ( se non all’inizio del XV secolo), l’impiego di schemi decorativi, nelle cornici e nelle stoffe, sovraccarichi di motivi vegetali e geometrici, è infatti largamente sfruttato dalla pittura murale a cavallo del secolo in Italia centrale.

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