Anton Giulio Bragaglia

Anton Giulio Bragaglia

Chi era: regista, saggista, giornalista
Nato a: Frosinone 11 febbraio 1890

  • Frosinone: Palazzo Bragaglia, casa natale dell’artista, sito a Porta Campagiorni.

inizia la sua attività nel 1906 a Roma, come aiuto regista alla “Cines”, casa di produzione cinematografica paterna. Interessato alla sperimentazione nel campo della fotografia, mette a punto la tecnica “futurista” della fotodinamica . Parallelamente lavora in campo archeologico accanto agli studiosi Giacomo Boni e Rodolfo Lanciani. Nel 1916 fonda il periodico “Cronache di Attualità”, che si occupa arti figurative, musica, teatro, letteratura e politica con un tagli di avanguardia internazionale. Sempre nello stesso anno fonda la casa di produzione cinematografica “Novissima- Film”, realizzando tre film futuristi, fortemente sperimentali, tra i quali il più noto è Perfido incanto, con scenografie di Prampolini.

Nel 1918, con una mostra di Giacomo Balla, inaugura la Casa d'Arte Bragaglia, situata in via Condotti 21 fino al trasferimento in via degli Avignonesi, nel 1922. Dal 1921 al 1924 pubblica l'”Index Rerum Virorumque Prohibitorum”. Stretta è la collaborazione con il fratello Carlo Ludovico presso lo studio fotografico di via Condotti e nell’attività della galleria. Accanto alla galleria di via degli Avignonesi si apre il Teatro Sperimentale degli Indipendenti, attivo fino al 1936. Qui ha modo di presentare il meglio della produzione d'avanguardia in allestimenti innovatori anche dal punto di vista scenico. Vengono messe in scena opere di Jarry, Apollinaire, Laforgue, Strindberg, O‘Neill. Nella stagione 1929-’30 con la Compagnia Spettacoli Bragaglia porta in tournèe per la prima volta in Italia l’Opera da tre soldi di Brecht. Il Teatro degli Indipendenti è soprattutto un punto di elaborazione e di riferimento per le nuove ricerche italiane: Pirandello, Marinetti, Svevo, Rosso di San Secondo. Nel 1932 è nominato consigliere della Corporazione dello Spettacolo, nel 1937 Corrado Pavolini, presidente della Confederazione professionisti e artisti, lo chiama a dirigere il Teatro delle Arti, la cui attività è in relazione alla rinnovata Galleria di Roma; Bragaglia ricopre questo incarico fino al 1943. Le sue teorie sul teatro sono espresse in numerosi volumi, tra cui Maschera mobile (1926), Del teatro teatrale ossia del teatro ( 1927), e soprattutto Il segreto di Tabarrino (1933), che raccoglie saggi sui personaggi dell’avanguardia europea come Apollinaire, Jarry, Piscator, Reinhardt. Muore a Roma nel 1960.

Anton Giulio si batte per un teatro d’avanguardia che concreta con il suo Teatro degli Indipendenti, dove vengono presentati per la prima volta autori stranieri destinati a entrare durevolmente sulle scene italiane. Legato indissolubilmente a Roma, città che fu teatro delle sue scorribande intellettuali e della sua attività frenetica e polivalente, Anton Giulio Bragaglia ha vissuto la sua esperienza di artista alimentando di cultura europea la sua insaziabile curiosità. Sapeva rispettare il genio e amava usare il suo spirito libero per mettere in crisi ogni equilibrio convenzionale e per sconvolgere, con sottile ironia, i ristagni del provincialismo.

Riferendosi al lavoro di Bragaglia dei primi anni venti, Curzio Malaparte ebbe a scrivere: “ Bisogna andar col pensiero a quella che, intellettualmente e artisticamente era povera, bigotta, parruccona, provinciale, filistea, piccolo borghese Italia di allora, per capire tutta l’importanza che Anton Giulio Bragaglia, e il gruppo dei giovani intorno a lui, hanno avuto nel rinnovamento dell’arte e della letteratura italiana”. Ma nè il suo arguto anticonformismo, nè la prassi provocatoria della sperimentazione gli fecero mai perdere di vista i valori dell’altra cultura’, quella legata al filone più puro della tradizione popolare, dalle danze contadine ai dialetti, dalle maschere regionali agli antichi giochi scenici, fino alla commedia dell’arte, al circo, al varietà alle pratiche di acrobati e saltimbanchi, buffoni e mimi, istrioni e giocolieri. E forse proprio questo suo interesse per le forme di espressione libera e spontanea, sempre più rare nell’artificiosità borghese della grande città, lo tenne sempre sentimentalmente legato alla sua terra. “Per quanto di madre romana – scrisse – io mi sono sempre considerato e dichiarato ciociaro, per questo fui detto ‘le sosiarò parisien’.

Bibliografia tratta da: R. Gavarro, in La pittura in Italia. Il Novecento/1, tomo II, a cura di C. Pirovano, Electa, Milano,1992, pp.771-72

 

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