Palazzo Giorgi Roffi Isabelli a Ferentino

Palazzo Roffi Isalbelli Ferentino

Il Palazzo Giorgi Roffi Isabelli di Ferentino si trova nel centro storico dell'antica cittadina ciociara, a circa 15 Km da Frosinone (Lazio Meridionale). Il Palazzo ha accesso dal n. 160 di Via Consolare ed è attualmente di proprietà di Pio e Laura Roffi Isabelli.
Circa la costruzione e gli adattamenti del Palazzo bisogna riferirsi a diverse vicissitudini e a varie epoche. Alcuni elementi architettonici visibili nei vasti locali seminterrati a ridosso delle mura ciclopiche fanno riferimento a periodi medioevali riconducibili al 1200/1300, mentre alcuni elementi decorativi sono risalenti addirittura al primo secolo d.C.
Certa è la documentazione circa l'insediamento nella parte del Vicolo Raonio della Scuola Umanistica Ferentinate detta Filetica, costituita a seguito del cospicuo lascito che Martino Filetico (1430-1490) fece a favore dei fanciulli e bambini poveri di Ferentino, affinché potessero seguire gratuitamente gli studi.
E' anche documentato che l'Abate Nicola Raoni (da cui deriva l'attuale toponimo del vicolo), Rettore della Scuola, cedette il 21/12/1600 la Scuola privata alla Comunità di Ferentino che la condusse fino al 1934.
A seguito di detto passaggio la stessa Comunità trasferì la scuola in un edificio più ampio, e sicuramente più adatto ad ospitare un Convitto, localizzandola nel complesso dei Frati Conventuali di S. Francesco, mantenendo però la proprietà del sito di Vicolo Raonio.

Tanti atti notarili sono consultabili nell'Archivio privato di Pio Roffi Isabelli. Nel cuore del Palazzo, percorrendo stanze, in fondo alla Galleria degli Dei si intravvede una luce, la luce di lampade mistiche.
Dall'eleganza neoclassica della Galleria che si affaccia su via Consolare, si accede in una piccola stanza, di broccati e tenui chiarori, che sospinge in una dimensione altra, quasi una sospensione dalla mondanità che i salotti del Palazzo evocano e di cui conservano seducenti impronte. Insospettabile, ammantata di mistero, si staglia la Cappella di Palazzo, un angolo di spiritualità la cui origine è andata perduta.
Chissà quanti devoti proprietari del Palazzo, nel passato, avranno desiderato un angolo di religiosità nella propria dimora. Chissà a quale Santo sarà stata votata la fede della famiglia, se sia stato un gesto devozionale, un ringraziamento, un ex voto, oppure un mezzo per aumentare il prestigio sociale del Palazzo.

Di tutte le informazioni che avrebbero svelato l'arcana presenza di una Cappella consacrata nel Palazzo non ci restano che vaghi indizi sia circa la dedicazione sia circa la sua funzione. L'attuale area consacrata, probabilmente non è l'originale; appare evidente che sia stata ricavata in un ambiente che negli anni '50 del secolo scorso ha subito A una importante trasformazione: una parete di legno posticcia ha, infatti, diviso la stanza a metà. Le cronache di famiglia attestano l'esistenza di un Oratorio privato in casa Giorgi, testimonianze avvalorate dalle Bolle papali di Papa Pio IX del 1870 e di Papa Pio X del 1905 che giustificano l'esistenza di una cappella privata. Alla ricerca di indizi sulla misteriosa cappella è stato rinvenuto il documento più antico che risale al 1870, precisamente alla data dell' 8 aprile, quando Alfonso Giorgi indirizzò una supplica al Vescovo dell'epoca per la celebrazione della messa in casa.

Un'incredibile collezione epigrafica raccolta dallo stesso Alfonso Giorgi, studiata e apprezzata da eruditi e studiosi ottocenteschi, una collezione di reperti classici murati sulla facciata interna del cortile del Palazzo, rinvenuti in epoche diverse a partire dal 1846.
Le sculture inserite nella Collezione Giorgi sono disposte in base al gusto e alla visione povera dei palazzi romani del '700, come Villa Pamphili, Villa Medici, Palazzo Mattei.

La provenienza di tutti i frammenti è di Scuola Laziale e Romana, ma si tratta spesso di rinvenimenti sporadici e di acquisti da antiquari e da collezionisti. I reperti sono stati posti in modo di far emergere dalla parete solo le parti lavorate del marmo.
Tre sono i ritratti marmorei più significativi; numerose sono le ipotesi sulla provenienza dei reperti ma la più accreditata è quella che li vede rinvenuti nel territorio di Ferentino o da luoghi vicini.
La prima testa mostra la caratteristica del collo lungo; ciò indicherebbe che era inserita in una statua. E' la tecnica artigianale tipica del mondo antico, quando si realizzavano statue uguali con volto diverso. E' una testa giovanile, volto regolare, ciocche di capelli mossi. E' di buona qualità, databile alla tarda epoca augustea. La seconda testa (quella mutila) è in un cattivo stato di conservazione. Si tratta di un altro ritratto augusteo con ciocche di capelli maggiori della prima. Potrebbe essere Gaio Cesare, figlio di Agrippa, nato nel 20 a.C. e morto nel 4 d.C. Come extrema ratio, nel caso si provasse la provenienza locale, nei due ritratti di Palazzo Giorgi si potrebbero riconoscere due magistrati di Ferentino di età augustea.

La terza testa è la perla di tutta la collezione. Rappresenta un fanciullo di circa tre anni con ciocche scomposte sul capo. Risalente all'età Claudia, raffigura sicuramente un principe bambino. Trattasi forse di Gaio Cesare.
Se tutti e tre i ritratti provenissero dallo stesso sito archeologico, questo assumerebbe una notevole importanza e ci si troverebbe di fronte ad un illustre sepolcreto imperiale

1400 volumi, una storia di parole, illustrazioni, tra il 1500 e gli albori del 1900, è questo il patrimonio librario della Biblioteca privata Alfonso Giorgi censita, nel 1989, nell'Annuario delle Biblioteche Italiane a cura del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali.
Tra le meraviglie librarie possiamo scovare un Fondo che tramanda l'Archivio privato delle famiglie Giorgi e Roffi Isabelli in cui sono custoditi documenti relativi all'amministrazione del vasto patrimonio familiare.

E' da questo fondo, costituito da oltre 200 cartelle numerate, che sono state attinte le informazioni relative alla storia del Palazzo e dei suoi proprietari, tracciando una mappa di atti notarili, di compravendite di edifici e giardini in quello spazio delimitato da Via Consolare, da Via Ierone, da via San Lorenzo e da Vicolo Raonio, in quell'angolo di Ferentino dove è sorto e si è ampliato nel tempo Palazzo Giorgi-Roffi Isabelli.
Le vicende del Palazzo si intrecciano alla storia e ne rimane traccia persistente nei volumi della Biblioteca che trattano di fatti, personaggi, magistrature pontificie e costumi locali tra il XVIII e il XX secolo.

L'eredità considerevole della Biblioteca del Palazzo ha origine con quell'Alfonso Giorgi, erudito ottocentesco che ha dedicato la propria vita allo studio e alla cultura, arricchendo il patrimonio bibliotecario con manoscritti antichi, con trascrizioni di storia locale, con schede e collazioni di epigrafi latine, con appunti di archeologia e con il proprio ricchissimo carteggio intercorso con i più autorevoli personaggi e studiosi della propria epoca con i quali scambiava riflessioni, spunti di ricerca e scoperte dalla valenza internazionale, tanto da dare lustro ET T RISO all'Alfonso Giorgi che figura tra i soci dell'Istituto di Corrispondenza Archeologico Germanico. Ed è nel "Bullettino" dell'Istituto che furono pubblicati testi epigrafici inediti, raccolti dallo stesso Giorgi. Lo studio delle antiche lapidi della provincia di Campagna e Marittima che intraprese con impegno, gli permise di collaborare, tra gli altri, con T. Mommsen, B. Borghesi, G.B. De Rossi e G. Henzen. E' per questo che nel 1989, a cento anni dalla morte di Alfonso Giorgi, il suo erede Pio Roffi Isabelli ha inteso intitolare la Biblioteca di famiglia all'illustre avo, epigrafista ed erudito ferentinate.

Anche le pareti, i pavimenti e i soffitti a Palazzo Giorgi-Roffi Isabelli evocano storie, leggende e la moda di un'epoca. Di ispirazione neoclassica, le decorazioni presentano affinità con le abitazioni di fine '700, inizio '800 dello Stato Pontificio.

Malgrado i segni lasciati da alcuni avvenimenti storici e naturali come i terremoti o i bombar-damenti della 2° guerra mondiale, il Palazzo ha conservato la propria caratteristica struttura esterna e ha preservato in gallerie, sale e stanze, decorazioni, affreschi e simboli.
Il piano nobile è contraddistinto dalla grande Sala Gialla, abbastanza centrale ed in seguito divisa, e dal Salotto Verde che da' l'accesso alla Galleria degli Dei. Questa Galleria, posta lungo l'asse della Via Consolare, è stata oggetto del più importante intervento fatto alla fine del '700, inizio dell'800, quando i proprietari Don Vittorio Giorgi e suo fratello Giovanbattista Pietro hanno voluto fregiarla della veste decorativa che ancora oggi, in parte, si è conservata.
La Sala Gialla, durante i bombardamenti del 1944, ha subito la perdita della parete lungo Via Ierone ed a seguito dei gravi danneggiamenti fu rivestita con carta da parati e divisa in due. Alla luce del restauro del 2008 sono state individuate altre pitture che completano il ciclo delle quattro stragioni.
Nel Salotto Verde osserviamo, sulla parete del caminetto, il Corteo di Bacco, mentre sulla parete di fronte è disposto il Trionfo di Cerere. Si tratta di repliche fatte da un ottimo pittore decoratore, purtroppo anonimo, di originali romani filtrati attraverso lodi cinquecentesche.
Ottima la raffigurazione dell'Architettura che comprende la Figura con il compasso in mano, sulla parete di destra, mentre l'altra frontale (Figura appoggiata su un piedistallo) è una bella replica della Musa Polimnia.
La dimostrazione della maestria del decoratore è la completezza delle cornici che comprendono le figure ed i disegni dei soffitti. I dettagli permettono di datare il lavoro al periodo del pontificato di Pio VI come le decorazioni del Palazzo Braschi di Terracina.

Il fascino che emerge dalle decorazioni raggiunge l'apice con la Galleria degli Dei, un ambiente lungo e stretto, con tre finestre sulla Via Consolare, centrata sul portone del palazzo, e per questo decorata con una splendida veste, particolarmente sontuosa, del neoclassicismo dell'epoca.
Si immagina una grande architettura di colonne tra le quali siano stati stesi dei tendaggi e tra le colonne sono ospitate le statue dorate raffiguranti importanti personaggi dell'Olimpo.
Anche l'arredo rimasto è originale; si osservano le poltrone concepite apposta per una galleria, come si soleva fare nelle buone case di provincia.
I dettagli migliori, nei quali possiamo apprezzare meglio le doti dell'ignoto decoratore, sono da ricercare sulle due porte, quella di accesso alla Cappella e quella della Sala Verde che ben rappresentano Ebe e Ganimede coppieri degli dei. Le varie divinità sono tutte tratte da originali abbastanza famosi.
La Minerva, ad esempio, è una replica molto libera della Tela Farnese, ma anche le altre mostrano di essere state filtrate dall'arte neoclassica del Canova. Possiamo notare un accorciamento dei veli che da' un'aria settecentesca alle figure ritratte. L'Apollo è stato affrescato sull'esempio dell'Apollo del Belvedere reinterpretato in chiave settecentesca. Un bruciaprofumo, visibile nell'angolo morto, dimostra ancora una volta la bravura dell'autore, più decoratore che pittore.
Non sappiamo se la Galleria fosse preesistente all'attuale sistemazione o se facesse parte di un precedente edificio (tutto il Palazzo Giorgi è un grande collage di edifici riuniti in varie epoche), ma l'idea che questo ambiente fosse più antico delle decorazioni è riscontrabile nel pavimento in maiolica del XV o XVI secolo, realizzato probabilmente riassemblando le gialle e le azzurre, alcune figurate, altre solo colorate. Si può azzardare l'idea che molte di esse fossero state tolte da pavimenti precedenti e rimesse in un ordine nuovo.

I lavori, effettuati dalla scuola di restauro dell'Accademia delle Belle Arti di Lecce, hanno riportato alla luce nella Sala Gialla il bellissimo affresco raffigurante la Primavera.

testi a cura di Pio Roffi Isabelli

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