Sono ormai passati venti anni dalla scomparsa di uno tra i più grandi artisti del xx secolo, un uomo raro per la grande umanità e generosità e per l’attaccamento alla nostra terra. Come ricordarlo? Sottolineando ancora una volta l’inadeguatezza della cultura artistica italiana ed il conseguente deserto politico-culturale della nostra provincia. Le motivazioni dell’isolamento di Mastroianni dai fasti del mercato dell’Arte e dalle potenti consorterie critico-politiche dei dominanti anni sessanta fino a quasi i nostri giorni, hanno una duplice origine. In primo luogo il dominio della cultura figurativa catto-comunista ed in secondo luogo il “morboso” interesse di qualche critico d’arte che gli fece il vuoto intorno, alimentando anche strane voci sul mercato dei falsi delle sue opere. Mi piace qui riportare un episodio accaduto nel 1990 in occasione del Premio Fiuggi indetto da Giuseppe Ciarrapico e presieduto dal Presidente Andreotti, che calza perfettamente al caso.
All’interno di quella manifestazione milionaria vi era una sezione dedicata a premiare una vita per l’arte e la commissione, della quale facevo parte in quanto Presidente della Provincia, si era già, “abilmente pilotata”, orientata a individuare in Pericle Fazzini il vincitore. Pur essendo d’accordo sulla figura di quel prestigioso artista, nella riunione deliberante, mi permisi d’ intervenire dicendo: “non per campanilismo, ma avremmo potuto tenere in considerazione Umberto Mastroianni”; alle mie parole prima Renato Guttuso e poi Antonello Trombadori si scagliarono pesantemente contro l’arte di Mastroianni. MI alzai e risposi a Guttuso con quello che pensavo della sua arte e del suo giudizio unitamente a quello di Trombadori che di arte (a differenza del padre) non capiva poi molto. Ne nacque un putiferio che vide immediatamente intervenire Monsignor Angelini, che in quella sede faceva le veci del Presidente On. Andreotti, per rimettere la discussione su più giusti binari ed al quale spiegai che, avendo già dichiarato la mia disponibilità a votare Fazzini, non c’era nessuna volontà nel mio intervento di rimettere in discussione una scelta per altro fatta all’unanimità. Intendevo sottolineare, però, che mi sembrava estremamente ingiusto sia sotto il profilo artistico che morale, svolgendosi il premio in terra ciociara, che non si fossero tenute in considerazione la vita e l’opera di un nostro conterraneo artista di fama mondiale. L’arte figurativa imperante sostenuta da due formidabili chiese è stata sempre ostacolo forte sulla via di Mastroianni, la difficoltà di lettura dell’arte astratta in qualunque forma si appalesi, ancora oggi rende ostica la comprensione dell’importante messaggio artistico mastroianneo. ( Ricordo ancora i commenti dei sapientoni titolati ed accademici ciociari e non sulle “ferraglie di Mastroianni”). Non a caso l’inizio della sua sfolgorante carriera parte da Parigi nel lontano 1957, la città dell’arte per eccellenza e dove “nacque e si sviluppo” l’arte moderna. Di lui parlarono a partire dal 1958, Giulio Carlo Argan, Nello Ponente, Salvatore Quasimodo, Erich Steingraber, Nello Ponente, Palma Bucarelli e Jacques Lassaigne i più importanti critici e storici dell’arte volendo restare soltanto in Italia. La vita di Umberto Mastroianni è stata tutta dedicata ad affermare un diverso ruolo della scultura nella società: il messaggio incompreso.
L’arte rappresentativa di Mastroianni, infatti, al di là dei valori formali, si qualifica sempre come arte monumentale, di dimensioni dilatate ed imponenti, il tutto tendente a riaffermare un ruolo svanito negli anni, la scultura come elemento caratterizzante della storia di un popolo, di un territorio e di una città. Dai menhir alle piramidi, dagli obelischi ai grandi gruppi scultorei dell’arte greco – romana fino alle statue imperiali o a quelle equestri nelle epoche successive, la scultura si confrontava con l’ambiente, con la città dettandone a volte lo stesso sviluppo. Una scultura quindi non fatta per adornare salotti, per soddisfare orafi o palati reali attraverso dimensioni “portatili”( che si dirà di Michelangelo e del suo “ enorme” Davide? Farà pensare?). Basterà esaminare tutta la sua produzione in scala ridotta per accorgersi che ogni opera altro non è che un bozzetto per una grande scultura. La monumentalità non come aspirazione allo stupore, ma come elevazione del pensiero umano. Quando nel ‘600 Borromini progettava Sant’Ivo alla Sapienza, nella sua cupola riproponeva un modello forse più significativo della Fontana dei Fiumi del Bernini. Mastroianni contestava la scultura dei ciondoli, divertimenti infantili dell’artista, affermava quello che poi sarebbe accaduto, che il vuoto culturale e l’abbandono delle grandi opere avrebbe lasciato spazio all’epoca degli ARCHISTARS.
L’architettura contemporanea infatti, quasi a voler supplire il ruolo della scultura monumentale ormai “ espulsa” dalle città, tradendo anche la propria finalità, diventa “ spettacolo prevalentemente scultoreo”. Basterà guardare il Guggenheim Museum di Frank Gery a Bilbao, il MOMA – Museum of Modern Art di New York di Yoshio Taniguchi o le opere di Santiago Calatrava tipo il Word Trade Center a Manhattan o l’incompiuta cupola per la Città dello sport a Roma. Si è quindi completamente perso, nella mancata cultura del ruolo della città nella società ed in esso quello della scultura, il messaggio dell’arte di Umberto Mastroianni. Altro elemento negativo nell’affermazione di questo linguaggio raro è stata la “ sorte” delle sue più significative opere monumentali : Cuneo – il Monumento alla Resistenza 1969, Frosinone – Il Monumento ai Caduti 1977 – Cassino – il Monumento alla Pace 1987. Queste opere di bellezza inestimabile, uniche per dimensione ed ispirazione sono ahimè collocate in tre centri provinciali dove la stima del loro valore, la loro manutenzione e, nel caso di Cassino il completamento, rischiano di mortificarne le valenze. Più volte parlandone con lo stesso Umberto abbiamo amaramente dovuto constatare uno stato di cose che lo mortificava soprattutto perché si sarebbe aspettato ben altro trattamento.
Ho una copiosa corrispondenza che testimonia il suo dolore per il mancato completamento del monumento di Cassino per il quale di anno in anno mi sono preoccupato di segnalare alle Amministrazioni succedutesi la necessità di dar vita al progetto Iannazzi ed eliminare quel terribile treppiedi di cemento e rendere accessibili i luoghi. La triste realtà provinciale. Infine in questo breve scritto, non posso non ricordare anche la generosità e l’attaccamento di Umberto Mastroianni alla sua terra. Fiero del suo essere nato in Ciociaria, a Fontana Liri da famiglia arpinate è rimasto sempre affascinato dalla città di Arpino dove suo Zio Domenico lo aveva indirizzato alla scultura. Il mio sodalizio con Umberto Mastroianni inizia con il suo insegnamento presso l’Accademia di Belle Arti Napoli per proseguire poi con anni di incontri a Marino ad Arpino e con iniziative e progetti comuni nel periodo della mia Presidenza presso l’Amministrazione Provinciale di Frosinone.
Il suo “tornare” sul nostro territorio attraverso la realizzazione di numerose opere e propiziato dalla mostra del 1986 a Frosinone in Piazza Gramsci ( Vallerotonda, Collecarino, Fontana Liri, Cassino-Casamari) portò alla definizione di un progetto che avevamo coltivato fin dal 1972: la realizzazione del più importante parco di scultura monumentale d’Europa. La Montagna sacra della scultura nella Civitavecchia di Arpino. Si trattava di una idea straordinaria destinata a mutare non soltanto la vita sociale ed economica della città dei suoi avi, ma portava alla ribalta dell’Arte internazionale una metodologia innovativa che investiva tutto il territorio provinciale e nazionale. Nel 1985 l’Amministrazione Provinciale di Frosinone acquistò in Arpino il Castello detto di Ladislao dal Re di Napoli suo fondatore. La struttura imponente era destinata a diventare sede della futura Donazione e Fondazione Umberto Mastroianni, ometto le tribolazioni sopportate in questa vicenda che si concluse ad onore della verità e nell’interesse della città di Arpino.
Nel 1990 il Maestro donò alla Provincia di Frosinone 81 opere d’arte che costituirono il primo nucleo della Prestigiosa Donazione Mastroianni e finalmente nel 1995 venne istituita la Fondazione Mastroianni. Le operazioni di restauro del Castello durarono anni ed anni e richiesero finanziamenti di centinaia di milioni su progetto dell’Arch. Ugo Iannazzi. Si realizzò una struttura definita favolosa da Maurizio Calvesi, degna di una grande metropoli. Sale espositive, saloni conferenze, camere d’ospitalità degli artisti che dovevano frequentare uno dei Centri d’Arte più prestigiosi d’Italia. Stanze interamente arredate con letti e bagni. Infatti il Castello doveva ospitare allievi e docenti di scultura delle più imprtanti Accademie d’arte d’Europa per la realizzazione delle opere che, unitamente alle donazioni dei più grandi scultori del mondo (assensi già avuti da Mastroianni) avrebbero costituito il suggestivo parco monumentale sulle falde della Montagna di Civitavecchia (progetto Iannazzi approvato dal Comune di Arpino 1986). La Fondazione nelle more dei lavori di restauro iniziò le sue attività nella sede provvisoria di Palazzo Boncompagni messa a disposizione dal Comune di Arpino. Nel 1993, il sottoscritto, allora membro della commissione cultura de Senato, Umberto Mastroianni ed il Ministro dei Beni culturali Alberto Ronchey inaugurarono la sede e la Donazione stessa. Soltanto nel 1995 la Fondazione diventerà però pienamente operativa e acquisendo l’adesione delle città di Veroli, Frosinone, Sora, Cassino, Alatri e, buon- ultima, Arpino.
Dopo altri cospicui interventi economici da parte della Provincia, allora presieduta dall’attuale Senatore Scalia, finalmente nel 1990 sembrò giunto il momento dell’inaugurazione del Castello, quando lo strano spoil- sistem attuato dall’Amministrazione Iannarilli, determinò il cambio del C.d.A. della Fondazione (ometto le modalità!) e l’inizio dell’abbandono del “progetto Mastroianni”, le dimissioni di molti comuni ( che continuano a preferire le sagne e fagioli all’arte ed alla cultura) e l’abbandono dei piani superiori del Castello che si disse sarebbe stato messo anche in vendita! Siamo giunti all’attuale situazione con un nuovo C.d.A., ma le cose sembrano addirittura peggiorate per la situazione “economica della Provincia” che non finanzia regolarmente l’Ente, e la Fondazione non sembra riprende, nonostante le buone intenzioni della Direttrice Loredana Rea, il progetto della montagna e non trova sponsor e idee nuove per salvaguardare il rilevante patrimonio artistico che gestisce.
Ora appare del tutto evidente che è la Provincia l’Ente responsabile di questo stato di cose situazione che diventa ancora più preoccupante alla luce dei propri incerti destini. Pensate, una volta tanto che un Ente territoriale si era fatto titolare di un progetto fantastico che riguardava lo sviluppo socio-economico-culturale di una delle sue città e dell’intera provincia, progetto avanzato da una delle personalità artistiche più note del XX secolo e su di esso aveva investito centinaia e centinaia di milioni, ecco che lasciando deperire una struttura, ignorando le ingenti risorse occorse per il restauro del castello, manda all’aria soldi, progetti e prospettive. Non sembra più sano, più giusto ed anche più leale che in occasione del ventennale della scomparsa di Umberto Mastroianni, chi di dovere faccia un esame di coscienza e cerchi di riaffermare la voglia di questa terra di valorizzare la vita, le idee ed i progetti di un suo grande figlio?
(Ultimo aggiornamento: 1 Marzo 2018)